Alchimia e sagiria
Fin dall’antichità gli egizi si interessarono ai misteriosi processi che presiedono alla trasformazione degli elementi naturali e alle loro relazioni. Tale enorme corpus di conoscenze, accumulato nel corso dei millenni, fu poi trasmesso agli arabi che gli attribuirono il nome di alchimia, da al, Dio e kîmyiâ, pietra filosofale.
L’alchimia è l’arte di trasmutare i metalli vili, liberati da tutte le loro impurezze, in metalli preziosi. Questa convinzione deriva dalla filosofia naturale degli alchimisti ellenici, i quali, fondando la loro teoria della natura sul pensiero di Aristotele, ritenevano che alla base del mondo materiale vi fosse una prima materia caotica, prodotto della fusione dei quattro elementi fondamentali: fuoco, aria, acqua, terra.
Secondo Aristotele, infatti, i quattro elementi si distinguono per alcune specifiche qualità primarie: il fluido, o umido, il secco, il caldo, il freddo. Ciascun elemento possiede solo due qualità primarie, mentre le altre due qualità assenti rappresentano i contrari che non possono essere accoppiati.
Ne deriva che le quattro possibili combinazioni delle qualità appaiate sono: caldo e secco (fuoco); caldo e fluido (aria); freddo e fluido (acqua); freddo e secco (terra). In ciascun elemento una qualità predomina sull’altra (nella terra il secco, nell’acqua il freddo, nell’aria il fluido, nel fuoco il calore).
La trasmutazione risulta quindi un’ovvia conseguenza di questa teoria, dato che ogni elemento può essere trasformato in un altro attraverso la qualità che hanno in comune.
L’alchimista, all’interno del suo laboratorio, imita infatti la natura, realizzando in piccolo ciò che la potenza creatrice ha prodotto nell’universo.
Egli tende dunque a una conoscenza globale dell’universo, subordinando i suoi risultati all’esistenza e all’azione di forze energetiche e spirituali extraumane.